2. Chiamare le cose con il loro nome
Ho delle enormi difficoltà nel rapportarmi con l’odierno, con l’attuale. Penso sia normale, superata ormai la ragguardevole soglia dei 46 anni. Ci provo spesso a farmi piacere alcune cose, ma poi finisce sempre che faccio confronti coi dischi vecchi e il paragone purtroppo è quasi sempre impietoso. Comunque. Non sono qui per piangermi addosso e raccontare i bei tempi andati. Anzi, la verità è che quello che ho vissuto quando ho cominciato a suonare con le mie canzoni, e va detto da già-vecchio, a trent’anni suonati, non era poi tutta questa grande meraviglia. Per carità, era un mondo pieno di energia, pieno di sogni, pieno di “un giorno tutto questo cambierà”, ma era comunque un mondo pieno di contraddizioni e problemi.
La realtà dei fatti è che tutta la mia generazione di musicisti ha accettato un trattamento ai limiti dell’umano. Palchi improvvisati, fonici alle prime armi, impianti audio senza senso, luoghi per dormire che Guantanamo in confronto era un hotel a 4 stelle. Pochi soldi, poco sonno, troppo alcol scadente. Nulla di nuovo, questo è certo: Neil Young nella sua autobiografia racconta del suo primo ingaggio in un bar americano e di come si nutrì per un paio di mesi di soli cracker e scatolette, dormendo sul pavimento di un garage. Però, insomma, mi aspettavo che quarant’anni dopo le cose fossero un tantino migliorate. Parliamo di gavetta? Colapesce, Dimartino, Lo stato sociale, Le luci della centrale elettrica, Dente, Brunori sas (per citare solo i più conosciuti del mio giro), insomma io insieme a moltissimi altri veniamo tutti dallo stesso posto, un posto fatto di tanti concerti in giro per l’Italia, a portare la propria musica letteralmente a casa delle persone, a vendere CD e a cercare di non morire nel tragitto di ritorno.
Non riesco a idealizzare quegli anni, anche se ognuno di noi sicuramente aveva la sensazione di stare partecipando a un cambiamento radicale del panorama musicale. Forse per questo qualche anno fa la realtà si è rivelata - citando il maestro Paolo Sorrentino - terribilmente scadente. La rivoluzione della musica liquida ha lasciato solo macerie e oggi per un giovane musicista mi pare più complicato - rispetto a un passato molto recente - riuscire a crearsi una fanbase reale senza ricorrere a trucchi costosi. Anche solo suonare fuori dalla propria città appare spesso un miraggio.
E allora cosa racconteremo di questi cazzo di anni Zero, per citare il buon Vasco Brondi? Credo fossimo quasi tutti molto stupidi o forse non abbastanza focalizzati sui nostri progetti. Io appartenevo senza dubbio a entrambe le categorie, anche perché da musicista mi era naturale farmi coinvolgere in molti dischi e relativi tour. Si sa, le bollette non si pagano da sole. Alcuni amici ce l’hanno fatta, hanno sfondato mantenendo la propria integrità; qualcuno è morto durante il tragitto di ritorno e il ricordo di Alessio resta indelebile nel mio cuore; centinaia di altri progetti sono spariti nel giro di pochi anni; molti sono rimasti irrilevanti a livello di pubblico, e in questa categoria metto anche il mio di progetto, perché è bene chiamare le cose con il loro nome; altri ancora avevano una gran voglia di raggiungere la fama e a forza di provarci ci sono riusciti, svestendo i panni di quello che alcuni chiamavano indie e indossando abiti nuovi e più adatti al mercato.